Come si disegna? 2 – Ma in che senso «guardare»?

Quando dicevo che per disegnare bisogna guardare davvero non volevo sembrare una specie di Quèlo: nel guardare davvero non c’è niente di spirituale. Siamo banalmente, in un certo senso, sempre distratti – e non per cattiveria.

Faccio anche la redattrice, quindi tra le altre cose correggo le bozze dei libri: chi fa questo mestiere sa bene, suo malgrado, che il nostro cervello tende a leggere correttamente le parole anche quando hanno qualche refuso – il nostro cervello rispramia energie quando può, quindi riconosce le parole se hanno, ad esempio, la prima e l’ultima lettera corrette e degli errori in mezzo. «Risparmia» è scritto sbagliato.

Sempre per restare in tema Guzzanti.
Ho fatto un fumetto sui refusi, lo trovi qua.

Leggere è una branca del guardare: guardare, quindi, proprio come la lettura, è un’attività a risparmio energetico.

«Non dobbiamo dipingere ciò che pensiamo di vedere, ma ciò che vediamo
Paul Cézanne

Cézanne (avevo detto che ci sarei tornata) ha fatto della montagna Sainte-Victoire un’ossessione non solo perché era un luogo a lui caro, ma anche per costruirsi una palestra di tecnica dipingendo lo stesso soggetto familiare per vent’anni. In questo suo tornare ossessivamente sullo stesso soggetto c’è il tentativo di portare la pittura più vicino possibile al modo in cui funziona il nostro sguardo; lasciar stare il contorno, usare solo certi colori, campiture sempre più ampie, l’azzurro per far sentire l’aria – quest’ultima dell’aria azzurra è una considerazione molto vera e tenera che Cézanne che ha scritto in varie occasioni.

Montagna Sainte-Victoire, 1902-1904, Philadelphia Museum of Art.

Il fatto che la montagna, le case, gli alberi ci appaiano chiaramente anche quando sono dipinti usando blocchi di colore ci fa capire un punto importantissimo: che i nostri occhi non percepiscono i particolari, ma la forma generale. E di conseguenza deve agire anche il nostro disegno. Prima il generale, poi il particolare. Non si deve cominciare dall’angolo dell’occhio ma dalla forma generale del viso. Nessuno di noi si ricorda l’angolo dell’occhio di nessuno, ma la forma generale di un viso altrui sì – è squadrato? È tondo? È aguzzo? Bisogna partire da quello.

Arte e percezione visiva di Rudolf Arnheim, il saggio fondativo della Gestalt, spiega benissimo questi principi.

A me interessa in particolare che il disegno, qui, sia inteso soprattutto come un modo per capire come funziona la nostra vista – il disegno come un modo per riappropriarci della nostra vista e dell’attenzione che facciamo alle cose.

A questo serve il taccuino: poi se si comincia un minimo a capire come funziona il nostro sguardo, i disegni migliorano. Non disegnare le cose che hai sempre disegnato (e che stanno nella tua testa, non fuori). Guarda e disegna tante volte. Cézanne mica era cretino.

Meme di Decamerette creato
da Sara Zanardo
La mia versione per la shopper
del progetto

Questa settimana per disegnare usa strumenti che facciano linee molto grosse e imprecise: matite, pastelli, pastelli a cera spuntati o di grandi dimensioni, o anche pennarelli con la punta grossa. (Nel disegno qui sopra puoi vedere che ho usato linee molto grosse.) Ti troverai obbligata/o a direzionare il segno in modo più sintetico perché non potrai essere preciso. Dovrai sintetizzare le forme, in questo modo aiuterai il tuo cervello a trovare la giusta direzione. Puoi anche decidere di usare il tuo strumento spuntato per colorare le campiture di quello che vedi senza tracciare i contorni. Come sempre, fai più disegni dello stesso soggetto.

Promettimi che non farai nessuna linea tratteggiata o incerta: capisci dove vuoi direzionare la linea e solo dopo tracciala, senza tentennamenti.

linea sbagliata
linea giusta

Divertiti! Come sempre, se vuoi, mandami i tuoi disegni – la mia mail è hello[at]caterinadipaolo.com – o scrivimi un commento, e a presto.

«Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose – conclude il signor Palomar – ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile.»
Italo Calvino, Palomar

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