Come si disegna? 3 – I soggetti amati

In questi giorni ho dipinto, prima un murale di san Cristoforo e poi un ritratto di Wittgenstein, questo qua sopra. Non avevo, tra l’altro, pensato che questo è l’anno in cui i diritti di Ludovico decadono, perché sono passati ormai settant’anni dalla sua morte (si dice che la sua ultima frase prima di morire sia stata: «Tell them I had a wonderful life» – la sua fu una vita, oltre che wonderful, anche romanzesca, aggiungerei.)

Tempo fa una ragazza mi ha fatto una domanda interessante: disegnare una cosa che ami cambia il tuo modo di disegnare? Mi aveva detto di sentirsi quasi profanatoria a disegnare un soggetto che amava particolarmente.

Io le ho risposto in modo un po’ duro, ma credo alla fine sincero, che l’amore nel disegno come nella vita tende a velarti gli occhi e che quando si comincia a disegnare è più saggio disegnare qualunque cosa, anche piccola. Anzi: più piccola e insignificante è meglio è. Disegnare la brocca dell’acqua.

Nel mio primo taccuino avevo provato a ridisegnare la Madonna del parto, di cui tenevo una riproduzione in camera. Ero agli inizi, quindi non avevo ancora gli occhi per vedere i miei disegni – per scomporli come si deve – e in più l’amore per l’affresco mi faceva sentire tutta ispirata, atteggiamento che può essere solo dannoso. Il disegno venne una merda, ovviamente – una specie di Barbie. Con questo non voglio dire che i disegni di merda non servano – tutti i disegni messi uno sopra l’altro sono una scala per i disegni successivi!

«La scala del Tractatus dev’essere qualcosa che non ci porta affatto “più in alto”, ma che, mentre la adoperiamo, ci lascia in realtà nello stesso posto, ci mostra sempre le stesse cose – soltanto, man mano, sempre più chiaramente […]. Una volta che ha svolto il suo compito pedagogico, una volta che abbiamo compreso che il mondo non è altro che il mondo dei fatti e non ha alcun senso ulteriore, e che l’unico linguaggio sensato è il linguaggio descrittivo proprio della scienza empirica, possiamo in ogni momento abbandonare la “scala” e proseguire per nostro conto: non perché, opportunisticamente, l’abbiamo già usata per raggiungere il piano superiore, ma perché abbiamo compreso che non c’è mai stato nessun piano superiore da raggiungere.» – L. Bazzocchi, Contro linterpretazione acrobatica della scala di Wittgenstein, trovato qui.

(Sì, ci ho fatto anche un gioco per bambini. Perdoname Ludwig.)

L’amore vela gli occhi. In modo opposto a quanto fatto con la Madonna del parto, per anni non ho disegnato la faccia di Witt perché temevo di profanarla o rovinarla. Poi l’ho disegnata due volte: la prima lo scorso anno, nell’ultimo numero di M.O.L.L.A., e la seconda ora, dipingendola. Sono piuttosto contenta di aver aspettato, perché adesso so dire meglio dove sbaglio quando disegno, consapevolezza proporzionale alla riuscita del disegno stesso; e so che l’amore non fa un buon disegno. O forse, riformulo: oggi so che devi essere conscio di amare tutte le cose allo stesso modo quando decidi di disegnarle. Così come parlare di una sedia o parlare di un tuo dolore dev’essere un gesto compiuto con lo stesso senso di responsabilità e la stessa attenzione, così disegnare una brocca o disegnare il viso di una persona che ti ha cambiato l’esistenza dev’essere fatto con lo stesso senso di responsabilità e la stessa attenzione. Credo sia per questo, anche, che mi piace correggere le bozze.

Avevo fatto un disegno della faccia del Witt e mi sembrava essere venuto bene, sebbene con i miei soliti vizi: gli avevo allungato la faccia e gli occhi erano troppo grandi. Ma mi sembrava ugualmente di averlo preso. Poi ho avuto paura di dipingerci sopra con l’acrilico per rovinare il disegno. Paura molto stupida, ma molto comune. Ho quindi fatto varie foto al disegno, e poi ci ho dipinto sopra, e ho fatto un sacco di strati, e mi sembra essere decente per una che gli acrilici non li frequenta punto. Sono contenta dell’incarnato, mi piace che si veda che gli strati sono molti e grossolani. L’ombra sul viso è molto forte non solo per richiamare il ritratto originario, quanto soprattutto per quella frase che aveva detto il Witt, sul fatto che se proietti una luce molto forte su un lato di un problema, verrà proiettata un’ombra altrettanto forte sul suo lato opposto.

Dipingendo ho buttato uno sguardo su una strada molto wittgensteiniana: quella del colore. Il colore è un grandissimo mistero, più del disegno. Un po’ ho conosciuto il colore in questi anni a illustrare, ma dipingendo mi pare sia molto più chiara la difficoltà di isolare un colore per quello che è. Ho passato gli ultimi giorni a leggere forum di pittori che cercano di spiegare la differenza tra i vari tipi di rosso in commercio, rimanendo estasiata dai loro sforzi di spiegare con il linguaggio quanto il colore sia controintuivo e inaspettato. Quindi un mio proposito per il 2022 è dipingere per capire il colore.

E quello che vi consiglio di fare all’inizio di quest’anno è: disegna un soggetto che ami e un soggetto per te poco importante con la stessa concentrazione. Smontali, rimontali, smonta il tuo disegno con la mente, scomponi quello che vedi, prendi i punti di riferimento allo stesso modo. Guarda la brocca e il viso della persona che ami con gli stessi occhi e disegnali con la stessa mano. Fai come Epifanio con Valeriana: innamorati di un vaso di fiori e guarda i colori da dietro. E buon anno.

«Quanti coloooooriii!»

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